Conclusioni di Alberto Madricardo

A conclusione di questa giornata raccoglieremo i diversi contributi in una pagina del sito di P.E.R., che vi invitiamo a visitare, come abbiamo in precedenza fatto per la “Giornata Mose”. Dovremmo riuscire a farlo dopo l'estate, comunque per l'autunno. Vorremmo pensare anche a un utilizzo diverso del materiale, che potrebbe essere la raccolta in un fascicolo, ma dobbiamo fare i conti con le nostre risorse. Si vedrà.  A conclusione, è emerso da quasi tutti gli interventi che stiamo vivendo un grande cambiamento della città, un mutamento epocale, una sorta di discontinuità che secondo me però non è soltanto riferibile a Venezia.

Mi pare che la discontinuità sia un carattere essenziale di questa epoca, segnata da una globalizzazione che ha prodotto un mutamento cosi profondo che noi siamo appena in grado di coglierne alcuni  aspetti.  C'è moltissimo da pensare, moltissimo da esplorare.

Secondo me la traccia di Venezia è interessante per poter capire dove sta andando il Mondo.  Venezia, per le sue caratteristiche di città insulare ed essendo una città speciale, a suo modo estrema, presenta tendenze e fenomeni generali in modo più marcato ed estremo, li rende perciò analizzabili in modo forse più semplice che in altre situazioni, dove si presentano più confusi e diluiti.

Ecco che allora noi cerchiamo di usare Venezia per capire il presente. Non siamo nostalgici, ci rendiamo conto che la Venezia della mia - nostra infanzia non ci sarà mai più. Potrà esserci qualcosa di diverso, qualcosa che nasce da una nuova consapevolezza. Ecco perché abbiamo sottolineato, enfatizzato, il tema della consapevolezza anche nel titolo, nel nome della nostra Associazione (Pensare Elaborare Rappresentare Venezia Consapevole).

Io sono profondamente convinto che in questa fase che stiamo vivendo la coscienza collettiva avrà un ruolo determinante, sia nel senso che si attivi, sia che, malauguratamente, rimanga passiva e inerte. I pericoli sono moltissimi: grandi, gravi, li vediamo ormai all'orizzonte. Credo che il modo migliore di farvi fronte sia creare e organizzare la consapevolezza. Credo che la formazione di comunità consapevoli - e quella di Venezia può essere una di queste - possa costituire un embrione di risposta alla sfida di questo tempo, nel quale anche l'organizzazione dello spazio tradizionale sta venendo meno e il ruolo dello stato - nazione è in crisi.

Lo stato - nazione ha avuto la sua parabola storica e ormai è arrivato alla sua decadenza. In Europa in particolare è andata avanti una “globalizzazione profonda” che, nonostante i pericolosi ritorni di fiamma nazionalistici di cui vediamo oggi pericolose manifestazioni, sembra difficilmente reversibile, se non a prezzo di sconvolgimenti e guerre per noi oggi inimmaginabili.

Io penso che nel contesto di oggi la città torni a essere lo spazio nel quale l'umano può esprimere con grande ambizione tutta la sua progettualità. La città è sempre stata lo spazio dei grandi progetti, dell'utopia. Noi dobbiamo recuperare questa tensione utopica, non dobbiamo ragionare - e lo facciamo poi continuamente senza renderci conto- perseguendo il “meno peggio”. Dobbiamo recuperare la dimensione del meglio, perché è la tensione verso l’utopia, che risveglia e suscita le energie migliori. 

Venezia in particolare, per la sua caratteristica di città volontaristica, acrobatica, costruita in un luogo “impossibile”, oggi in lotta per la vita o per la morte, è particolarmente adatta ad accogliere esperimenti avanzati di convivenza civile. Oggi la crisi evidente, epocale, della “vecchia modernità novecentesca” appiattente, omologante, richiede prospettive che esaltino la diversificazione e le specificità, le volontarietà, le originalità. Così Venezia, città dall’immagine passatista che non ha più nulla da dire – dare al mondo, se non stantii romanticumi e languide nostalgie, si trova di colpo, per i suoi drammatici problemi, quasi sbalzata in una posizione di  avanguardia: ciò che accade ai veneziani, accade agli abitanti di tante città e località nel mondo intero. Essi vedono in ciò che sta capitando a noi oggi il loro futuro destino. I nostri problemi sono così grandi e profondi, che richiedono, per essere affrontati e risolti positivamente, innanzitutto una cittadinanza risvegliata, coesa e consapevole.

Perciò ci siamo interrogati su che cosa vuol dire oggi “abitare”, che cos’è una città, quali sono i linguaggi di cittadinanza, ecc. Questi temi sono ovviamente fondamentali in questa nuova epoca nella quale siamo entrati. Da qui è nato il nostro impegno sul problema del rapporto tra arte e città. L’arte è tra i linguaggi di cittadinanza? E, se sì, con quali peculiarità che la distinguono da altri linguaggi? Come si può riportare l’arte alla città e la città all’arte? Questi sono le questioni che ispirano il nostro progetto “Arte e Città”. 

L'arte è un linguaggio, ma non è un linguaggio come gli altri: non è un linguaggio discorsivo, retorico, come la politica, non è dialogica come la filosofia, non indaga i processi sociali come la sociologia o l'economia, né quelli naturali come la scienza. E' un linguaggio intuitivo: comunica ineffabili unicità. Non discute, non esprime significati: produce senso. Siccome la città ha bisogno non solo di significati e discorsi, ma anche di senso, secondo me - lo dico esplicitamente – l’arte si pone nel cuore dell'utopia della “città consapevole”. Questo modello ideale che abbiamo preso come archetipo e punto di riferimento, sa - traendolo dal flusso caotico degli avvenimenti - “filare il suo tempo”: non subendo il presente che le capita di vivere, ma rielaborandolo attraverso tutti i linguaggi, tra cui anche quelli dell'arte, del teatro, ecc. in modo che del presente appaia infine l’ordito, cioè riveli il suo senso. Così l’arte, proponendosi come esperienza da condividere, rinnova la coesione dei cittadini.

I linguaggi artistici e intuitivi diventeranno sempre più importanti, perché quelli tradizionali della politica, dell'economia, e forse anche altri, sono profondamente “esauriti” oggi. Una rigenerazione può avvenire soltanto attraverso un loro diretto confronto. Non tanto, come ho già detto, tra discorsi e tesi diverse, quanto grazie a un accostamento, una giustapposizione tra loro – come linguaggi - in modo da far risaltare le peculiarità fondative di ciascuno. 

L'arte ha una sua peculiarità: di essere il più arcaico dei linguaggi, direttamente connesso con il sacro. Nella città ha una sua centrale collocazione, ma non un messaggio.

L'Arte è come l’Oracolo di Delfi di cui Eraclito dice che “non dice, non nasconde, ma tutto accenna”, o come Pitagora, che si dice parlasse ai suoi scolari da dietro una tenda. Non appartiene alla dimensione discorsiva, al tu per tu, alla Auseniandersetzung. L'Arte è digressiva dal dialogo e quindi dalla città, sulla cui piazza il dialogo si svolge. Ma la città proprio di questa digressione ha  bisogno: il dicibile deve stare in una cornice indicibile per non perdere la sua tensione interna e banalizzarsi. 

Ogni idea di utile non deve solo confrontarsi con altre e diverse idee di utile: deve rispecchiarsi anche nell’inutile, mettersi in gioco e ricostruirsi dal suo negativo per restare aperta. Molte volte ci dicono: ma perché non vi occupate, come molti altri, dei problemi urgenti della città, ad esempio della residenza (tra l'altro lo facciamo, per quello che possiamo, aderendo e sostenendo anche quello che fanno altre associazioni)? Credo che queste siano molto importanti ovviamente, ma c'è bisogno anche di una digressione, di un ampliamento degli orizzonti, di nuovi linguaggi che ci facciano respirare aria nuova e ci infondano nuove, libere, energie non semplicemente reattive, come le possono esprimere degli assediati. Noi siamo certo assediati, ma abbiamo dalla nostra che il mondo intero, in questa fase della vicenda umana, lo è. 

Ecco allora che, per vincere nel piccolo dobbiamo forse pensare in grande.  Usare non solo i linguaggi dell’allarme e della resistenza, ma anche quelli “innocenti” – come quello dell’arte - destinati proprio ad aprire orizzonti, a produrre nuove atmosfere e nuovi contesti di senso. Perché solo se riusciremo a supportare con qualcosa di originale, di speciale la nostra pretesa di continuare a vivere come città potremo forse vincere la nostra battaglia. In un certo senso la sopravvivenza di Venezia non è possibile: possibile è forse solo una sua nuova vita.  

Ecco, questo è quanto volevo dire. Da qui parte il progetto “Arte e Città”. Spero che da questa nostra Giornata si aggreghi un gruppo: c'è bisogno di forze. Per i compiti che ci siamo dati le nostre forze sono certa mente insufficienti.

Quando siamo partiti con P.E.R. io pensavo che si potessero fare alcune cose in pochi mesi. Ci vogliono anni invece, con le poche forze che abbiamo. Però più siamo, più cose possiamo fare, farle meglio, più in fretta e bene. Vi invito a far parte di questo gruppo di lavoro che oggi inizia la sua attività: avrà molti problemi da affrontare, sia di carattere teorico, che pratico. Noi dobbiamo immaginare un rapporto nuovo tra arte e città, dobbiamo proprio immaginarlo, anche prendendo riferimenti da esperienze già compiute di altre situazioni, ma dobbiamo andare avanti, cioè cogliere le problematiche nuove e cercando di dare le soluzioni originali, perché solo così la città vive e solo così possiamo pensare di poter vincere.

Ultima cosa: aderite a P.E.R. Venezia Consapevole, date più forza all'Associazione.

E ultimissima: domani venite alla manifestazione....Grazie