Traccia di intervento: Venexia, tu sei bellezza! La via pulchritudinis tra arte e fede, per un viaggio alla scoperta della sacralità del paesaggio urbano

 Francesca Di Gioia

«Troppo tardi ti ho amata, Bellezza sempre antica e sempre nuova, troppo tardi ti ho amata. Eri dentro di me, ma io ero fuori e senza bellezza e mi precipitavo verso quelle bellezze che Tu hai fatto e che, senza di Te, non potrebbero esistere. Tu sei sempre con me, ma io non ero con Te».

Sant’Agostino

«La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto. [...] Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che – segretamente o apertamente – non è più capace di pregare e, presto, neanche di amare... In un mondo senza bellezza – anche se gli uomini non riescono a fare a meno di questa parola e l’hanno continuamente sulle labbra, equivocandone il senso – in un mondo che non è forse privo, ma che non è più in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo dover-essere-adempiuto... In un mondo che non si crede più capace di affermare il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica».Via Pulchritudinis è un percorso di riscoperta del ruolo evangelizzatore della bellezza e dell’arte. Non una stradina laterale, gradevole nel paesaggio ma poco frequentata, dove far scivolare la teologia cristiana, bensì il tentativo di riportare la riflessione su Dio per l’uomo, sulla via principale. «La nostra parola iniziale si chiama bellezza» scrivera VON BALTHASAR nel suo prologo alla sua opera Gloria (Milano 1975, pp. 10-11)indica la qualità del "bello" che va inteso come strumento di conoscenza e di salvezza, dunque, come possibilità per tutti di scorgere, attraverso la nuda materia, la delicata presenza del divino. Proponendo un’estetica teologica, Hans Urs von Balthasar intendeva aprire gli orizzonti del pensiero alla meditazione e alla contemplazione della bellezza di Dio e nell’introduzione al primo volume della sua opera il teologo cita più volte la parola bellezza e ne esprime la portata in rapporto al bene che «anche ha perduto la sua forza di attrazione» e in cui «gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica». Parallelamente il Premio Nobel per la letteratura Aleksandr I. Solženicyn nota nel discorso fatto in occasione proprio della consegna del prestigioso riconoscimento, con accento profetico: «Questa antica triunità della Verità, del Bene e della Bellezza non è semplicemente una caduca formula da parata, come ci era sembrato ai tempi della nostra presuntuosa giovinezza materialistica. Se, come dicevano i sapienti, le cime di questi tre alberi si riuniscono, mentre i germogli della Verità e del Bene, troppo precoci e indifesi, vengono schiacciati, strappati e non giungono a maturazione, forse strani, imprevisti, inattesi saranno i germogli della Bellezza a spuntare e crescere nello stesso posto e saranno loro in tal modo a compiere il lavoro per tutti e tre».

Via Pulchritudinis è il recupero di un significato antico eppure sempre nuovo, dove la bellezza si manifesta come luogo visibile e sensibile dell’infinito mistero dell’Invisibile. 

Percorrere la Via pulchritudinis implica impegnarsi a educare i giovani alla bellezza, aiutarli sviluppare uno spirito critico di fronte all’offerta della cultura mediatica, e a plasmare la loro sensibilità e il loro carattere per elevarli e condurli ad una reale maturità. La «cultura kitsch» non è caratteristica di una certa paura di sentirsi spinto ad una profonda trasformazione? Dopo aver a lungo rifiutato questa «passione», Sant’Agostino ricorda la trasformazione profonda dell’anima grazie all’incontro con la bellezza di Dio:

nelle Confessioni egli ripensa con tristezza e amarezza al tempo perduto e alle occasioni mancate e, in pagine indimenticabili, rivede il suo percorso tormentato alla ricerca della verità e di Dio. Ma quest’esperienza dell’incontro con il Dio della Bellezza è un avvenimento vissuto nella totalità dell’essere e non solo nella sensibilità. Di qui la confessione del De musica (6, 13, 38): «Num possumus amare nisi pulchra? – Che altro si può amare se non le cose belle?».

La Via pulchritudinis é dunque via verso la Verità e la Bontà. lì dove Verità e il Bene devono in ultima istanza, raggiungere il cuore dell’uomo e delle culture e la via della bellezza risponde all’intimo desiderio di felicità che alberga nel cuore di ogni uomo, apre orizzonti nuovi, che spingono l’essere umano ad uscire da se stesso ed é anche armonia, proporzione. Ciò trova corrispondenza in quel valore etico supremo che i Greci difinivano kalokagathos. Il Kalós, (καλὸς) in italiano “bello”, nella cultura greca si riferiva non solo a ciò che risultava piacevole ai sensi ma anche a qualità più generali, e da qui ha vita quel legame indissolubile fra bello e buono che nella lingua della Grecia era la kalokagathía (καλοκαγαθία), dove il buono, agathós (ἀγαθός), si fonde con il bello dando origine a una parola, e a un concetto, unitari. La Via pulchritudinis é dunque via verso la Verità e la Bontà, lì dove Verità e il Bene devono in ultima istanza, raggiungere il cuore dell’uomo e delle culture, facendo riitornare alla comune origine unitaria del significato suddetto.

Nella classicità infatti, l’idea della bellezza era profondamente differente dalla nostra come scrive Umberto Eco riprendendo il pensiero di Pitagora: “Secondo il senso comune giudichiamo bella una cosa ben proporzionata. È pertanto spiegabile perché sin dall'antichità si fosse identificata la bellezza con la proporzione” (Eco 2004, p. 61). La simmetria e l’equilibrio erano dunque i valori di riferimento, e la bellezza, è parola inscindibile dall’idea di armonia, di proporzione delle parti, di misura dalla quale scaturiscono anche la giustizia e la sapienza. Essa, però, è soprattutto semplice figura che rinvia al suo modello: la bellezza creata rimanda alla bellezza increata. Per questo San Francesco si rivolgeva a Dio invocandolo con questa splendida implorazione: Tu sei Bellezza!

Educare oggi alla bellezza implica dunque una serie di accorgimenti di natura culturale e pedagogica che partono da saper (o dover indicare, in taluni casi) cosa è bello e cosa non lo è affatto. La tensione didattica dunque deve puntare a formare quella che Goleman chiama la "competenza emotiva", cioè l'insieme di abilità pratiche necessarie per l'autoefficacia dell'individuo nelle transazioni sociali che suscitano emozioni, con la consapevolezza di come l’elaborazione del sentimento della bellezza sia fondamentale per l’intelligenza emotiva. Educare alla bellezza significa quindi saper organizzare esperienze dello stupore estetico che ciascuno può trovare superando il confine nel quale la contemporaneità ha confinato l’idea stessa di bellezza, e per questo la competenza relazionale e narrativa degli insegnanti è alla base di una possibile esperienza educativa della bellezza, qualsiasi sia l’oggetto dell’insegnamento in ambito disciplinare.

Ed è infine allenamento della competenza emotiva, è chiamata a formare quella “delicatezza dell'immaginazione” di cui parla Hume, al fine di contrastare una mancanza di sensibilità che raggiunge anche il valore estetico oltre quello emozionale.

Venexia con la sua specificità e la sua apparente fragilità, è un incubatore di allert rivolti alla bellezza; amplifica la sostanza delle cose, rende pari nell'approccio emotivo, avvicina le disuguaglianze sociali e unifica i vissuti. Qui parlare di bellezza o, meglio ancora, educare alla bellezza è un gioco possibile: sospinti dal libeccio, presi per mano dalla folla di visitatori, allietati dallo stridìo dei gabbiani, accompagnati dal moto ondoso. Quei riverberi di luce che si dipanano tra calli e canali contribuiscono ad un reticolo di beltà, in un labirinto infinito di acqua e di acque fino a sfociare nell'orizzonte della Laguna. Ma in fondo Venezia è un pesce, come celebra nel titolo un famoso libro di Tiziano Scarpa, e noi siamo portati a seguire la corrente e allontanarci dall'oblìo della bruttezza e del brutto, per risalire la china di una memoria collettiva che ha qui nuovi porti in cui trovare riparo dalla globalizzazione imperante, dalla sciatteria dettata dalle nuove tecnologie e dalla deculturazione massiva.