Intervento di Riccardo Caldura

“Dalla rappresentazione dello spazio al vissuto urbano: il ruolo dell'arte nell’opera di un artista veneziano.”

Desidero ringraziare innanzittutto Alberto Madricardo e l’organizzazione dell’odierna giornata; sento il tema proposto di grande interesse e congeniale con una iniziativa espositiva apertasi il 18 maggio e che si prolunga fino al 24 giugno al Centro Culturale Candiani di Mestre.  Mi riferisco alla mostra Arte e Città, dedicata alle opere di Guido Sartorelli, artista veneziano scomparso nell’ottobre del 2016. Sartorelli ha lavorato con intensità e coerenza intorno alla questione che voi ponete al centro di questa odierna riflessione. Abbiamo presentato il catalogo della mostra un paio di giorni fa, il 7 giugno. Vorrei dunque parlare di Guido Sartorelli, entrando così nel merito della relazione fra arte e città grazie alle opere di un artista veneziano fra i più interessanti degli ultimi anni. Proverò rapidamente a ripercorrere alcune tappe del suo percorso creativo per meglio comprendere come, dall’analisi per linee interne dell’opera d’ arte, egli sia poi giunto a focalizzare la sua ricerca proprio sul tema urbano. Sartorelli inizia nel 1964, presentandosi con una prima personale alla Galleria Bevilacqua La Masa, spazio pubblico del comune di Venezia, dalla lunga storia, indispensabile per conoscere l’evolversi delle arti contemporanee a Venezia. Un’importantissima funzione di mediazione quella della Bevilacqua anche verso l’istituzione dove io lavoro, cioè l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Solo negli ultimi anni l’Accademia si è dotata di un proprio spazio espositivo, il Magazzino del Sale 3, grazie ad una convenzione con il Comune di Venezia, in precedenza lo spazio di Piazza San Marco ha rappresentato di fatto l’occasione più rilevante per osservare cosa si veniva elaborando e producendo nelle aule dell’Accademia.

Alla Bevilacqua La Masa, Sartorelli rimarrà legato per diversi anni, e vi presenterà esposizioni di grande rilievo per la storia stessa dell’istituzione. Siamo nel 1964, dicevo, e Sartorelli presenta una serie di opere ispirate dalla Vita di Galileo di Bertolt Brecht, tele di matrice tardoespressionista, con venature surrealiste, nei quali le ascendenze stilistiche, in particolare nord-europee diventavano occasione per mettere in luce un tema che avrà non poco a che fare con la sua ricerca successiva, cioè il tema della responsabilità dell’artista e dell’intellettuale verso la società. Non è un caso che la radicalità di quanto sarebbe avvenuto qualche anno dopo abbia toccato profondamente Sartorelli, il quale ha sottoposto la propria ricerca artistica ad una profonda radicale, in termini di soluzioni formali e di media utilizzati che avrebbero avuto come conseguenza un progressivo allontanamento dalla pittura. Il 1968 è stato per Sartorelli, come egli stesso scrive in Punto di vista (Supernova,1998) - mi permetto di ricordare che Sartorelli non è stato solo un validissimo artista, ma anche un saggista di qualità-, un anno di svolta. Il cambiamento che era nell’aria toccava radicalmente il rapporto fra arte e società, ed era cambiamento che doveva sottoporre a verifica non meno radicale la stessa ricerca di Sartorelli. L’urto del ’68 si riversava nella sua stessa pittura, destrutturandola nei suoi stessi elementi costitutivi, per poter esser consapevolmente archiviata quale esperienza del passato e passare così all’utilizzo di nuovi media: la fotografia, la grafica e l’infografica, il video e le modalità di allestimento dei lavori, cioè la struttura formale dell’esposizione. Le soluzioni adottate dall’artista veneziano sono state di grande interesse, e sono state possibili grazie all’intensa collaborazione con un’altra artista, Cristiana Moldi-Ravenna, che è presente a questa giornata di studi e che credo molto meglio di me saprà parlarvi di questi aspetti. La collaborazione fra i due artisti ha portato all’elaborazione di una serie di mostre, particolarmente attente alla relazione fra arte e città. Quel di cui mi interessava parlarvi oggi, collegandomi al tema della giornata, era provare a comprendere come un artista, lavorando per linee interne al concetto di rappresentazione in arte, e nello specifico nella pittura, andasse via via destrutturando quello che noi consideriamo il grande apparato spaziale dell’arte occidentale,  dovuto alla costruzione prospettica, costruzione prospettica che Sartorelli prova a mettere a nudo, quasi radiografando le componenti formali dell’immagine nella grande tradizione italiana. Il rapporto fra arte e città riguardava preliminarmente la rappresentazione dello spazio in pittura, e poi, considerando la necessità di superamento di questa disciplina,  che aveva secondo Sartorelli ormai esaurito la sua funzione,  capire grazie a quali altri strumenti, e con quali altri approcci metodologici, sarebbe stato possibile analizzare lo spazio per eccellenza del vissuto contemporaneo, cioè la città. Mi permetto, a titolo esplicativo, di proiettare, qualche immagine di questi significativi passaggi della sua ricerca. La prima immagine è una sorta di palcoscenico, o meglio “Progetto di un cinema all’aperto”, del 1967, indicativo perché si evidenza l’attenzione di Sartorelli verso lo spazio inteso come una ‘scena’. Nei lavori che vanno fra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta, l’impostazione analitica di Sartorelli produce di fatto una serie di opere nelle quali la riduzione cromatica (bianco/nero), l’utilizzo della riproduzione fotografica, l’attenzione allo schema formale dell’immagine, servono a chiarire la relazione fra superficie bidimensionale, o come direbbe Sartorelli, superficie ‘reale’ della tela o del supporto, rispetto ad una illusiorietà tridimensionale della costruzione prospettica e spaziale. La pittura andava esaurendo la sua funzione perché altre erano le urgenze al fine di comprendere il ‘reale’, ora nella sua declinazione tutta contemporanea. Si arriva così alla mostra “Il segno urbano-Indagine nel centro storico di Venezia. Analisi e confronti” tenutasi alla BLM nel marzo del 1977, basata essenzialmente su un’accurata analisi per sezioni fotografiche (grazie alla collaborazione con Mark Edward Smith) e testi che charivano gli intenti del lavoro.

Successimente prenderà avvio, ne ho già accennato, l’intensa collaborazione con Cristiana Moldi-Ravenna che porterà a sei rilevanti appuntamenti espositivi, l’ultimo dei quali nel 1987. Negli anni a venire, esauritasi la collaborazione Moldi-Ravenna, la ricerca di Sartorelli rimarrà legata soprattutto, anche se non esclusivamente, al tema della città, di fatto costituendo una sorta di grande atlante dello spazio urbano, in particolare europeo. Per comprendere,  in senso un po’ più ampio, la ricerca di Sartorelli, è utile metterla in relazione per un verso con la coeva ricerca veneziana, e per altro verso con quello che avveniva a livello italiano. In estrema sintesi si potrebbe dire che rispetto al contesto veneziano la produzione di Sartorelli, e quella di altri artisti, che come lui hanno frequentato e lavorato con la Galleria del Cavallino, veniva  a costituire una sorta di terza via rispetto alla grande lezione informale (basti ricordare la rilevanza della figura di Emilio Vedova) e rispetto alle varie declinazioni del realismo pittorico, comprese le influenze pop. Una terza via costituita appunto da un approccio analitico all’immagine e da un intenso rapporto con i nuovi media, soprattutto fotografia e video. Rispetto al contesto più ampio, extracittadino, riconosciute dallo stesso Sartorelli vi sono le influenze dell’arte concettuale (Joseph Kosuth e Bernar Venet), a cui a mio avvso andrebbe aggiunta una non casuale attenzione di Sartorelli alla situazione milanese della prima metà degli anni Settanta, penso al lavoro di Ugo La Pietra, alla sua rivista “Inpiù”, dove venivano pubblicati testi e lavori interdisciplinari dedicati alla tipologia urbana, con un marcato utilizzo della fotografia.

Il rapporto fra arte e città è davvero il nucleo del lavoro dell’artista, presentato in questi giorni al Centro Culturale Candiani. Centro il quale, a sua volta, nasce proprio con un intento di mettere in rapporto Mestre, la parte cosiddetta nuova del comune veneziano, priva di qualsivoglia istituzione a carattere museale, con le problematiche artistiche. Mi permetto ora di lasciare il discorso intorno a Sartorelli per ripercorrere brevemente alcuni progetti che ho curato per l’amministrazione pubblica, sempre con l’intento di evidenziare questa connessione fra spazio urbano e ricerche contemporanee che è la proposta della giornata odierna. Il Centro Candiani viene inaugurato nel 2001, con una mostra il cui titolo, TerraFerma (Charta, 2001), riprendeva l’usuale toponimo che contraddistingue questa parte del comune, facendolo però diventare anche una interrogazione intorno alla situazione dell’arte italiana contemporanea.  Dunque, una rassegna di opere di una nuova generazione di artisti, per leggere l’ubi consistam dell’arte italiana, e una serie di lavori site-specific prodotti con l’intento di leggere il rapporto fra il neonato centro culturale e la città. Qualche anno dopo, un altro progetto, Citying-pratiche creative del fare città (Supernova, 2005), diventava un modo di rivisitare l’intero territorio veneziano, da Chirignago alle isole minori della laguna di Venezia mediante cinque progetti artistici, anche in questo caso site-specific. Un progetto complesso che è durato circa un anno, e che è stato presentato in una tre giorni di seminari e incontri tenutasi al padiglione Antares del Vega. Nel 2009 alla Galleria Contemporaneo di Mestre, che ha smesso la sua attività espositiva nel 2010, è stato presentato Urban Display- descrivere e narrare la non-città (Antiga edizioni, 2009), un progetto espositivo interdisciplinare (vi hanno collaborato docenti dello Iuav, come Agnes Kohlmeyer anche lei qui oggi, architetti, storici, artisti, e fotografi) proprio partendo dalla difficile percezione e conseguente rappresentazione della terraferma. Insomma il tema proposto oggi ho provato reiteratamente a sondarlo, fin dal 2001, quando fra gli artisti invitati allora ad elaborare un progetto site-specific, vi era anche Gabriele Basilico, con il quale sono rimasto in contatto per anni, e organizzando nel 2007 la mostra Mestre (De Bastiani editore, 2007), dedicata ai lavori del grande fotografo milanese a Mestre, sempre alla galleria Contemporaneo. La mostra verrà replicata, includendo una serie bellissima di lavori dedicati a Marghera, nel 2013, sempre al Candiani per ricordare il grande fotografo prematuramente scomparso in quell’anno. Ben conosciuto e stimato anche dal nostro Guido Sartorelli.