Intervento di Cristiana Moldi-Ravenna

Città a confronto: la comunicazione attraverso i segni urbani.

Il segno non è mai solo: i segni della città sono arte.

Ripercorriamo con un salto nel passato di circa 40 anni le prime fortunate imprese che Guido Sartorelli e chi scrive, Cristiana Moldi-Ravenna, si trovarono a realizzare con molto entusiasmo e grande convinzione nella assoluta originalità e utilità di un lavoro, che nella continuità e nello sviluppo, mostra per mostra, interessò i maggiori critici di arte contemporanea di quegli anni. Tra il 1979, anno della prima delle sei mostre sul ‘segno urbano’ (Roma-Ginevra corrispondenze tra cultura religiosa e segno urbano) e il 1987 anno della sesta e ultima esposizione, (Metamorphoses), il fervore intellettuale era palpabile. Sulla scia del tema Il segno urbano, l’occasione della prima mostra fu un viaggio in macchina verso Londra nel 1978, ospite Sartorelli della mia famiglia. Nel nostro viaggio mano a mano che si procedeva da Venezia verso il confine svizzero dopo il traforo del Monte Bianco, modi di vita urbana e rurale, venivano incontro. Quando arrivammo alla frontiera con la Svizzera, l’arte urbana si incontrava negli apparati urbani, dai marciapiedi alle aiuole fiorite, ordinati, rispettosi del suolo pubblico, con una eticità nella progettualità alta. Mio marito Mario Cedolini, architetto, che si rivelerà, poi, di importanza fondamentale nel proporre la nostra mostra Roma-Ginevra a Bruno Zevi, adduceva motivi legati alla tradizione progettuale urbanistica e architettonica delle nazioni nordiche. Invece io, da sempre attratta dalle diverse ritualità e organizzazioni religiose (ognuno ha un destino segnato anche nel nome, per me anche nei cognomi) aggiungevo che, più logicamente, Jean Calvin nella sua Institution Chrétienne aveva influenzato prepotentemente la società elvetica con le sue regole severe, ispirate al vivere civile come in una cittadella celeste in cui tutto quello che veniva fatto, dai lavori più umili ai più elevati nella scala sociale, doveva essere realizzato per glorificare Dio. Ricordai alcune regole di Jean Calvin, prima di tutte, la confessione diretta con Dio, l’incertezza, quindi, dell’assoluzione, e la necessità per i calvinisti di comportarsi con rigore e lealtà senza scusanti; inoltre l’abolizione totale delle immagini religiose nei luoghi di culto, la costruzione di chiese come case, la semplicità e sobrietà come dati fondamentali rappresentavano la via da seguire in ogni forma della società. La religione Cattolica, al contrario, tramite il perdono dei peccati attraverso la confessione, dava completa assicurazione dell’assoluzione, e il peccatore poteva tornare a peccare. La motivazione religiosa era pertinentissima. A questo si aggiunse l’indagine fotografica che stavo conducendo a Londra per identificare le chiese cattoliche e quelle protestanti e Guido la trovò in linea con le motivazioni letterarie. Nacque così il piano di lavoro, partendo da un’indagine attraverso immagini storiche e contemporanee che avevano come scopo dimostrare come e quanto, immediatamente dopo la Riforma Protestante (1517 Discussione sulla dichiarazione del potere delle indulgenze) e la Controriforma Cattolica (1545 - 1563 Concilio di Trento), le due distinte religioni avessero influenzato prepotentemente l’immagine urbana delle società che le aveva prodotte. 

Per una fortunata coincidenza da Modena, l’assessorato alla Cultura, che doveva trovare l’occasione adatta per occupare uno spazio espositivo recentemente acquisito, la Sala dei Cardinali presso la Fondazione del Collegio San Carlo, trovò molto opportuno il nostro progetto che trattava del rapporto tra arte nella città e religione e ci affidò l’incarico per la nostra analisi e per provare quanto i messaggi religiosi abbiano sempre influenzato la  formazione sociale delle persone. La mostra doveva essere documentata con foto, e nacque così Roma - Ginevra Corrispondenze tra cultura religiosa e segno urbano. Ebbe un grande successo, pubblicazione di 10 pagine e testo critico di Mario Cedolini su ‘L’ARCHITETTURA cronache e storia’ diretta da Bruno Zevi. La novità consisteva nell’analisi delle espressioni delle forme religiose e l’influenza psicologica che da sempre le religioni esercitano sui popoli, fino a dettarne le regole di vita comune e a plasmarne la trasformazione dei segni riconoscitivi della città. 

I nostri lavori erano considerati “di utilità culturale per la società”. I critici più attenti registrarono l’importanza storica dei nostri lavori in particolare G.C. Argan, Mirella Bentivoglio, A. Bonito Oliva, Gabriella Cecchini, Giorgio Cortenova, Enrico Crispolti, Gillo Dorfles, Mario Perniola, Wilfried Skreiner, Toni Toniato, Francesco Vincitorio. Altri addetti ai lavori riconobbero l’assoluta originalità del nostro lavoro. 

Dopo il successo di Roma-Ginevra l’assessorato alla Cultura di Modena ci commissionò Nel Segno di Modena, Galleria Civica di Modena, 1981, presentazione in catalogo di Giulio Carlo Argan che ci suggerì, nella preparazione della mostra, di dare una organizzazione didattica alla nostra ricerca e che le foto dovevano essere raggruppate per codici. Così facemmo indicando delle tipologie di segni urbani dalla A alla Z come si può tuttora evincere controllando il catalogo della mostra. Altrettanto dettagliata, dopo quella di Modena, fu la mostra Graz Zeichen Einer Stadt, am Landesmuseum, Graz, 1982, presentazione in catalogo di Wilfried Skreiner. Successivamente, era sempre il 1982, si voleva avere una presenza a Venezia dove ancora non avevamo esposto e il luogo più prestigioso non poteva che essere la Galleria del Cavallino. Dopo vari incontri Paolo Cardazzo, sempre attento alle novità e pronto a sostenere gli artisti coraggiosi, propose la mostra Nelle forme della città, Galleria del Cavallino, Venezia, 1982. La corrispondenza tra immagini e parole doveva dare allo spettatore la sensazione che lì c’era da riflettere, forse anche da trarre conclusioni personali, da percepire la realtà in modo originale, con tutto il carico di significati e significanti che si possono riscontrare all’interno di un agglomerato urbano. La critica diede atto della complessa operazione, sottolineando il motivo della leggerezza e divertimento tipico dell’opera classica, con accostamenti sempre pertinenti tra immagini e definizione, con in più il motivo delle cornici finte costruite con fotocopie di trasferibili. Dopo un paio d’anni arrivò la commissione, a cui tenevamo tantissimo, da parte del Comune di Venezia, dagli Assessorati alla Cultura e al Turismo di una nuova mostra, Semiopolis, più impegnativa delle altre per le grandi dimensioni da occupare con i nostri codici visivi. La sede era La Bevilacqua La Masa in piazza San Marco. Gianni De Luigi ci mise in contatto con il curatore di un servizio sugli artisti a Venezia e la trasmissione andò in onda su RAI 2 per la regia di Luisella Raimondi. Ci trovammo tra i protagonisti delle arti a Venezia. Nel 1987 grazie a Gianni De Luigi, arrivò l’ultima proposta di esposizione dalla Francia, da La Martigues dove c’era una raffineria e una struttura industriale simile a quella di Marghera. Per Gianni De Luigi il confronto tra le due zone industriali molto scenografiche avrebbe potuto costituire nuovo materiale per una mostra lì in Francia e probabilmente anche qui a Venezia. Così  fu realizzata Metamorphoses, 1987 presso La Chapelle de l’Annonciade, La Martigues e fu l’ultima mostra dei segni d’arte in città che realizzammo assieme.